testo P. Salvagiani

Chi non ha mai sognato un mega-acquario come quello di J. C. Nourissat, che per pulire i vetri deve indossare costume da bagno e maschera subacquea e tuffarcisi dentro? Ma la realtà, purtroppo, è di solito un'altra…

170x50x50 cm, 200x60x60 cm. e, perché no, 250x80x70 cm: queste misure ai più non dicono gran che, ma a tutti i ciclidofili evocano vasche da sogno che il più delle volte, ahimè, restano tali a causa degli arcinoti problemi di spazio, peso o liquidità.
Proprio per questo, vi vorrei raccontare del mio ultimo acquario da 40x25x20 cm, sì avete letto bene, e non c’è neppure stato un errore di stampa, non manca nessuno zero: 20 litri netti, tutto qui.
Circa un anno fa, in una nebbiosa domenica pomeriggio, passeggiando distrattamente in un mercatino di cose antiche o, più spesso, semplicemente vecchie, notai su una scansia questo piccolissimo acquario usato di produzione industriale. Osservandolo da vicino mi resi conto che era ben fatto, con tanto di plancia di plastica, filtro a scomparti, pompa interna, termo-riscaldatore e minuscolo tubo al neon. Il prezzo? 50.000 lire, affare fatto! Collocarlo in casa, almeno per una volta, non fu un problema, una mensola della cucina andò benissimo.
Il primo inquilino, per la verità, fu un bellissimo Betta splendens blu metallico, ma dopo qualche mese fu raggiunto da un avviso di sfratto: una famiglia di Ciclidi doveva entrare in possesso della vaschetta (ubi maior …). Ma quali Ciclidi avrebbero potuto vivere decentemente in tale recipiente? Francamente non molti, ma qualcuno c’è, almeno spero. Ripensando alle osservazioni fatte nel corso degli anni ai Ciclidi che avevo allevato in acquari ben più grandi, mi venne in mente che era stato estremamente raro vedere un membro di una colonia di Neolamprologus multifasciatus, o di una coppia ben affiatata di N. ocellatus o signatus allontanarsi anche solo di poche decine di centimetri dalle loro conchiglie e quando lo avevano fatto era stato solo per rincorrere qualche intruso nel loro piccolissimo territorio. Così appena giunto dalla Germania, un gruppetto di N. similis semi-adulti, costituito da sei esemplari, si stabilì nella vaschetta, con altrettanti gusci di chiocciole, al posto del povero Betta (che trovò accoglienza a casa di amici, miei).


L. signatus femmina. foto G. Melandri

L. signatus maschio. foto C. Barberis


Per inciso c’è da dire che N. similis è piccolo Ciclide, ancora poco conosciuto dagli appassionati, diffuso in tutta la parte meridionale del lago Tanganica spesso a notevoli profondità, fra i trenta e i quarantacinque metri. Pur assomigliando in maniera sorprendente a Nl. multifasciatus (da cui il nome), all’esame morfometrico si evidenziano numerose differenze, la più evidente delle quali è una maggiore dimensione dell’occhio, tanto che prima della sua descrizione scientifica (Buscher, 1992), era noto col nome di Nl. multifasciatus “big eye”, inoltre anche le fasce verticali sono più larghe e sono presenti anche sulla testa subito dietro l’occhio. Dal punto di vista comportamentale si rileva molto meno legato alla presenza di gusci di gasteropodi, potendo deporre le uova anche fra le pietre o le concrezioni calcaree che ricoprono le rocce, e dimostra una minore tendenza a costituire colonie numerose. La taglia è comunque minima (anche se leggermente superiore a quello del sosia), tanto che i vecchi maschi non riescono a raggiungere i cinque centimetri di lunghezza totale.
Tornando ai miei esemplari, dopo alcuni giorni, per qualche imperscrutabile motivo, uno di loro fu confinato in un angolo, perciò fui costretto ad allontanarlo, gli altri invece, parvero andare sufficientemente d’accordo, anche se spesso si fronteggiavano a pinne tese ribadendo il loro dominio su una delle conchiglie. Nel giro di alcuni mesi i pesci crebbero (si fa per dire) e raggiunsero la maturità rivelandosi due maschi e tre femmine e così non tardarono a comparire, dall’interno delle conchiglie, i primi minuscoli avannotti. Per non sovraffollare l’ambiente, decisi di togliere una coppia lasciando, quindi un maschio, due femmine e un impreciso numero di piccoli.
In conclusione, lo scopo di questo piccolo articolo è quello di dimostrare ai meno esperti, che, se è pur vero che, come dice Ad Konings, “bigger is better”, Ciclide non significa automaticamente grande acquario, per questo, con una sufficiente conoscenza dei nostri pesci e una buona predisposizione alla piccola manutenzione (leggi: frequenti cambi d’acqua e pulizia del filtro), è possibile trarre grandi soddisfazioni anche da acquari piccoli (se non addirittura minuscoli come il mio).
E’, però, fondamentale tenere presente che potremo iniziare ad allevare Ciclidi in questo tipo di vasche, a mio avviso, solo a due condizioni:
1)- se disporremo già di una coppia di provato affiatamento, cioè verificato in un acquario più grande, e tenendola sotto stretto controllo nei primi giorni dopo il cambiamento di ambiente, dato che a volte lo stress può rompere l’equilibrio precedente.
2)- se potremo procurarci un piccolo gruppo di esemplari giovani, allontanando prontamente gli individui che man mano verranno scacciati dagli altri.
E ora forza, andate in soffitta e rispolverate il vostro primo acquario, fra le centinaia di specie di Ciclidi che oggi conosciamo ce n’è sicuramente qualcuna che ci si potrà trovare a meraviglia!

BIBLIOGRAFIA:
Buscher, H. H. (1992). Neolamprologus similis n. sp. DATZ aquarien terrarien. August-8/92. Verlag Eugen Ulmer. Stuttgart. Germany